L'ANPI compie oggi settant'anni. Sono molti, certamente, perché ci
allontanano dalla Resistenza, dalla lotta contro il fascismo e contro i
tedeschi, ci fanno ricordare con più fatica i nomi dei tanti caduti
della guerra di Liberazione, perfino di una parte di quei sopravvissuti
che in questi anni, via via ci hanno lasciato, diminuendo in modo
inesorabile e irreversibile la presenza di combattenti per la libertà
nelle nostre file.
E poi si potrebbe temere che 70 anni ci avvicinino alla vecchiaia. E
invece bisogna dire che vecchiaia non è e se lo fosse sarebbe in ottima
forma: 130.000 iscritti, 110 Comitati provinciali, 8 sezioni
all'esterno; degli iscritti solo il 10% è di combattenti per la libertà,
ma 30.000 sono donne e ben il 30% è di giovani tra i 18 e i 30 anni;
dunque, una associazione anziana, ma in splendida salute. Se poi
consideriamo le attività, dobbiamo ricordare che il 25 aprile scorso
sono entrati in campo, per varie iniziative, praticamente tutti i
Comitati provinciali, che per il 150° dell'Unità d'Italia abbiamo
realizzato non meno di 2.000 iniziative; che il 29 aprile scorso,
all'Eliseo, per una manifestazione sulle riforme Costituzionali, abbiamo
fatto il pieno; e un pieno di persone, donne e uomini, impegnati e
contenti di essere insieme anche se, spesso, stanchi per un lungo
viaggio.
Dunque, abbiamo di che essere soddisfatti del nostro vissuto, anche
se sappiamo, con dolore, che siamo destinati a veder assottigliarsi
sempre di più la pattuglia dei Partigiani e siamo consapevoli di dover
affrontare un cambiamento, con l'avvento definitivo delle nuove
generazioni. Ma siamo maturi, consapevoli e pronti ad ogni evenienza,
oltre che allenati alle difficoltà e dunque capaci di superarle; ma
soprattutto ci teniamo a dire, con orgogliosa fierezza, che la nostra
memoria è intatta, nel ricordo dei coloro che ci hanno lasciato, durante
il periodo fascista e nel ricordo di partigiani e delle partigiane che
hanno perso la vita allora e dei tanti antifascisti che l'anno perduta
nei campi di concentramento e di sterminio. L'abbiamo coltivata, questa
memoria, con attenzione e cura come una pianta che forse non riuscirà a
crescere, ma sicuramente si manterrà così come si è configurata nel
tempo. Può darsi che in qualche periodo non l'abbiamo coltivata nel modo
migliore; e forse qualche autocritica sarebbe logica e naturale. Talora
abbiamo ecceduto in un ricordo che si limitava alle forme più semplici,
la corona, il cippo, la celebrazione di alcune date e di alcune
ricorrenze. Abbiamo privilegiato, cioè, il ricordo doloroso e vigile,
rispetto alla conoscenza ed alla informazione, cioè alla vera memoria,
che non è e non può più essere fatta solo di riti e di celebrazioni, sia
pure rispettabili nelle intenzioni, ma per essere – essa stessa – un
valore, ha bisogno di spingersi molto più in là, di parlare di ciò che
si vuol ricordare, di far conoscere i fatti nella loro interezza, di
farli uscire dalla cronaca ed aiutarli ad entrare nella storia.
Da qualche anno abbiamo cercato di superare questi limiti, tenendo
fermo il ricordo doloroso (altrimenti, chi lo farebbe, chi si
ricorderebbe di portare una corona sotto le tante lapidi che fioriscono
nelle nostre strade e che nessuno guarda più?), essendo presenti in
tutte le scadenze, in tutte le date, che non possono essere dimenticate;
ma cercando di incrementare la riflessione e la conoscenza, soprattutto
con chi e sempre in maggior numero non ha vissuto quelle vicende e
particolarmente con i giovani, ai quali ben pochi insegnano e spiegano
che cosa è avvenuto in quegli anni, che cosa è stato il fascismo, che
cosa è stata la Resistenza.
In questo campo, comunque, abbiamo svolto un lavoro prezioso, e
imprescindibile, qualunque cosa avvenisse nel Paese, che ha subìto in
questi 70 anni vicende oltremodo complesse, anche nella parte che ci
riguarda più da vicino, per le quali siamo passati, con molta rapidità,
dal riconoscimento dell'ANPI come ente morale agli anni '50 e alle
persecuzioni del periodo scelbiano, in cui tanti partigiani e patrioti
sono sati processati e incarcerati, assai spesso essendo del tutto
incolpevoli. Ma c'è stato molto di più; le oscillazioni politiche; le
drammatiche vicende delle stragi che alcuni definiscono “di Stato”,
quasi tutte rimaste impunite e per le quali le vittime e i loro
familiari aspettano ancora verità e giustizia. E abbiamo avuto il
terrorismo e i tentativi di golpe. In tutto questo l'ANPI è sempre stata
vigile ed attiva, nell'ambito dei suoi compiti, costretta peraltro –
dalle vicende storiche – ad occuparsi ampiamente anche della difesa
della Costituzione e della democrazia.
In questo, siamo stati sempre dalla parte giusta, mantenendo ferma,
in ogni evenienza, la nostra autonomia e rivendicando orgogliosamente la
nostra identità ed i nostri doveri statutari. Abbiamo dovuto affrontare
la caduta del “Vento del nord”, la mancanza – nel Paese - di veri e
reali conti col fascismo, la svalutazione della Resistenza, l'attacco
strisciante alla Costituzione, nei primi anni, poi trasformatosi in
tentativi di modifica della Costituzione, contrari allo spirito stesso
della Carta costituzionale; e, più di recente, anche iniziative delle
quali si può dire quanto meno che non sempre ci si è resi conto della
delicatezza del compito e della necessità di maneggiare con cura un
oggetto così delicato come la Costituzione.
Anche in questo ambito, non credo che l'ANPI abbia nulla da
rimproverarsi; abbiamo fatto la nostra parte nel referendum vittorioso
del 2006, ci siamo battuti contro il progetto di modifica perfino
dell'art. 138 della Costituzione ed ora siamo impegnati nello sforzo di
garantire che la differenziazione del lavoro delle due Camere, ormai
necessaria, non si risolva in un sostanziale e pericoloso
monocameralismo, soprattutto se abbinato ad una legge elettorale che,
nella versione approvata per ora dalla sola Camera, ci sembra quanto
meno a dir poco discutibile, oltre ad essere in contrasto con la nota
sentenza della Corte Costituzionale.
Se dovessimo fare un'autocritica, peraltro doverosa nel momento in
cui si constata che stiamo diventando settantenni e quindi ci corre
l'obbligo della verità e della coerenza, dovremmo riconoscere che forse
non tutto quello che occorreva abbiamo fatto su tre fronti: il primo,
quello di reagire più tempestivamente e con più forza, al crescente
revisionismo, che nel tempo si è fatto sempre più accanito e talvolta
spudorato, fino a raggiungere il livello della menzogna finalizzata a
mettere in cattiva luce la Resistenza e i suoi protagonisti. Ci sarebbe
voluta più energia, più prontezza di risposte, più forte denuncia del
tentativo di violentare la storia.
Il secondo è quello della “mitologia”: preoccupati proprio
dell'incidenza che il revisionismo poteva avere sulla conoscenza dei
fatti, abbiamo talora esagerato, trasformando in mito ciò che doveva
restare ancorato alla forza dell'umanità e del coraggio ed
all'importanza delle scelte. Abbiamo finito cioè, nel difendere i nostri
valori, per esaltarli troppo ed allontanarli da quella credibilità che è
propria delle vicende che in qualche modo ci appartengono. Abbiamo,
cioè, trascurato il fatto che è molto più importante e comprensibile
esaltare e far conoscere la “normalità” delle scelte, piuttosto che
ricorrere sempre al concetto di eroismo. La Resistenza è stata composta e
fatta di luci e di ombre, di vittorie e di sconfitte, di momenti
difficili e dolorosi, di scelte giuste e vincenti e di altre magari più
dubitabili. Come tutte le vicende umane, la Resistenza – pur nella sua
straordinarietà – andava e va intesa nella sua reale entità e
complessità, considerando che non c'è stata solo la Resistenza armata
(ed anche in quella non ci sono stati solo eroismi), ma c'è stata tutta
quella parte fondamentale che non ha implicato il ricorso alle armi, ma
ha richiesto coraggio, determinazione, solidarietà, fratellanza; tutti
valori che hanno bisogno di essere riconosciuti e affermati prima ancora
che esaltati.
Il terzo punto di autocritica è il ritardo con cui abbiamo affrontato
la questione della partecipazione delle donne alla Resistenza latamente
intesa; ci sono stati, sì, riconoscimenti e va ricordato un convegno
dell'ANPI che già nel 1947 fu dedicato a questa tematica. Ma troppo a
lungo abbiamo lasciato che alle donne fosse attribuito un ruolo di
comprimarie, anziché quello fondamentale che hanno in realtà svolto, in
mille forme preziose, dalla partecipazione attiva alle Brigate, fino al
grande e pericoloso lavoro delle staffette, fino all'assistenza prestata
a prigionieri, feriti, fuggiaschi, sbandati, in tutti quei gravi
momenti che contrassegnarono l'Italia specialmente dopo l'8 settembre
del 1943.
A tutti questi limiti, l'ANPI ha cercato e sta cercando di ovviare,
con particolare intensità in questi ultimi anni, in cui – pur non
seguendo l'indicazione di un grande storico che chiedeva più storia e
meno memoria – abbiamo tuttavia provato ad accompagnare storia, memoria e
impegno civile, spesso fondendole in un unico strumento e in un unico
obiettivo. E non solo, ma abbiamo cercato di presentare e far conoscere
la Resistenza nelle sue vere connotazioni (basta scorrere il fascicolo
speciale di “Patria” che abbiamo dedicato al 70°). Ed infine abbiamo
fatto molto, anche per l'eccellente lavoro del coordinamento donne
dell'ANPI, per applicare anche alle varie forme di partecipazione alla
Resistenza il concetto di eguaglianza: un Convegno dello scorso anno a
Milano, sul fascismo e le donne, (che ha spaziato tra il passato e il
presente); un Convegno che si farà all'inizio dell'anno prossimo sui
“Comitati di difesa della donna” (che anche loro stanno raggiungendo, in
questo periodo, il fatidico settantesimo anniversario); ma non solo,
perché abbiamo favorito il racconto e la conoscenza di ciò che hanno
scritto le partigiane e inserito più donne nei nostri organismi
dirigenti, a partire dal Comitato nazionale e fino alla Segreteria
nazionale, dove il rapporto tra uomini e donne è quasi paritario.
Ma il vero – grosso – problema che abbiamo dovuto affrontare in
questi anni è stato quello delle conseguenze del decorso del tempo, da
un lato e degli effetti dei mutamenti della società e della politica,
dall'altro.
Ci siamo resi conto che la presenza di partigiani, patrioti,
militari, combattenti per la libertà, reduci, deportati, nelle nostre
file non sarebbe durata all'infinito. La perdita continua di compagni e
compagne amati e conosciuti ci ha fatto sentire la necessità di
utilizzare meglio le energie residue, per tramandare, per quanto
possibile, le vicende storiche e in particolare, la Resistenza; per
altro verso, ci siamo dovuti convincere che l'ANPI, pensata prima ancora
che finisse la Guerra di liberazione, non poteva restare ancorata alle
concezioni ed al tipo di impegno di allora, a fronte di un mondo che si
trasformava; e dunque bisognava cambiare anche noi, e non di poco.
Così, nel 2006, il Congresso ha sancito la possibilità di ingresso
nell'ANPI delle persone che si qualificano come “antifascisti” e si
riconoscono nei nostri valori e idealità statutarie. Ed è cominciata,
bisogna dire non senza difficoltà, la “nuova stagione”: si trattava,
nientemeno, di aprire nuovi orizzonti importanti e non facili, restando
peraltro saldamente ancorati al passato.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti: mentre altre Associazioni
si assottigliavano inesorabilmente, la nostra riusciva a mantenersi ad
un livello costante al di sopra dei centomila iscritti, spesso
avviandosi a traguardi assai più elevati. Sulla base del tesseramento
del 2013, contiamo oggi – come già accennato - su 130.000 iscritti;
l'analisi dei dati è significativa: 10.000 sono i combattenti per la
libertà ancora viventi; 30.000 le donne; il 30% del totale, i giovani;
attenendosi ad un criterio aggiornato e moderno, che è quello di
considerare il limite della giovinezza tra i 30 e i 35 anni.
La “nuova stagione” ci ha fortemente impegnati, in questi anni
inducendoci ad occuparci non solo della Costituzione, ma anche dei
diritti e financo dei diritti umani, ad impegnarci non solo nella difesa
della Costituzione, ma nello sforzo di renderla viva e operante e di
pretendere che essa venga completamente attuata. Il Congresso del 2011
ha rappresentato una spinta veramente forte, in questa direzione,
producendo un documento politico conclusivo, che è ormai il nostro
vademecum ed esprime con chiarezza il nostro ruolo: l'ANPI non è, e non
sarà mai, un partito è autonoma ed intende rappresentare la “coscienza
critica” della democrazia e della società; l'ANPI rivendica
l'autorevolezza politica e morale dell'Associazione e dei suoi
dirigenti, per continuare ad essere punto di riferimento per i
democratici e gli antifascisti; l'unità, il rigore, il rispetto e
l'applicazione dello Statuto e delle regole sono fondamentali per la
convivenza in una Associazione che è, e deve essere, pluralista;
l'antifascismo e la democrazia sono e devono restare i fondamenti
essenziali del nostro agire.
Tutto questo, naturalmente, non si è svolto e non si svolge senza
problemi; tanto che i più vecchi di noi, qualche volta, rimpiangono i
tempi in cui c'era un elemento unificante, l'appartenenza e l'impegno
nella guerra di Liberazione. Ma il rammarico è un sentimento momentaneo,
a fronte della gioia di trovarsi insieme, giovani e vecchi, donne e
uomini, partigiani e antifascisti, nelle occasioni di incontro e di
mobilitazione, quando percepiamo la gioia e l'orgoglio di appartenere ad
una “famiglia” gloriosa e ricca di tradizione e la soddisfazione di un
impegno collettivo, che non ha momenti di cedimento o di pausa, ma ci
incalza e ci costringe a restare sempre al passo coi tempi, che sono –
tra l'altro – sempre più complessi e difficili.
Certo, i confini con la politica diventano assai più labili. Talvolta
c'è chi ci ammonisce che non dobbiamo fare politica; e noi rispondiamo
che non facciamo e non faremo mai una politica partitica, ma che
crediamo fermamente nella bontà e nella necessità di un impegno politico
nel senso aristotelico della parola. Semmai, il problema è un altro:
un'associazione pluralista ha, in sé, componenti diverse, persone che
aderiscono o sono idealmente vicine a partiti diversi. Solo una rigorosa
autonomia, praticata non per necessità, ma per adesione spontanea a
quella che deve essere la nostra identità, può evitare i pericoli di
contiguità, la scontentezza di questo o di quello. Così come il rischio
di esprimere critiche che appaiano o addirittura divengano
aprioristiche. Sicuramente, tutto è più facile quando si hanno, in
campo, partiti antidemocratici o addirittura fascisti; il problema è più
delicato quando al governo ci sono partiti che sono (o dovrebbero
essere) più vicini alle nostre concezioni di fondo. Noi non possiamo
avere “governi amici” e dobbiamo esercitare ed esplicitare la nostra
critica nei confronti di tutti, vicini o lontani che siano. Questo ci
espone, ovviamente, alla critica da parte di chi ritiene che abbiamo
ecceduto in autonomia o di chi ritiene che siamo stati troppo
condiscendenti. Ma se siamo convinti di quello che facciamo e se
restiamo saldamente ancorati alla Costituzione, al nostro Statuto e al
documento politico dell'ultimo Congresso, il problema è solo quello di
spiegare bene quello che facciamo, di renderlo evidente, chiaro e
trasparente. Di norma, ci sembra di riuscirci. Comunque è sempre meglio
osare che stare fermi, naturalmente purché si sia pronti a correggersi
se ci si accorge di essersi avviati su sentieri troppo impervi.
Questo vale, ovviamente, anche per i cosiddetti problemi di “linea”,
che – ovviamente – ci sono, soprattutto sul piano della applicazione nei
casi correnti. Ma anche in questo, lo sforzo è quello di restare
ancorati alla nostra identità, seguendo la regola che l'ANPI deve
essere, sempre e comunque, sé stessa.
Questa è, dunque, l'ANPI di oggi, un crogiolo di forze e di
generazioni diverse, che cerca ad ogni costo di restare coerente con lo
Statuto, con le nostre finalità e con la nostra storia. Purtroppo, i
tempi sono cambiati (non in meglio): è più difficile muoversi a fronte
di una politica bisognosa di un mutamento radicale, anche nei
comportamenti, di orizzonti confusi, di parole che non si traducono in
azioni, di coerenze dubitabili, di tendenze a garantire a tutti i costi
la governabilità, magari facendola prevalere sulla rappresentanza. Ma la
realtà è questa; e se abbiamo prodotto, nell'ultimo mese, quattro
documenti (sulla necessità di riforma della politica, sulle elezioni
europee e su quelle amministrative e sulla riforma del Senato) è il
segno che vogliamo essere presenti, in questa società, con le nostre
finalità, con le nostre forze, con le nostre capacità, sempre nella più
assoluta autonomia di giudizio. Purtroppo, è diventato più difficile
l'ascolto in una politica troppo gridata perché si possano cogliere
posizioni come le nostre, sempre ragionate e mai preoccupate solo della
visibilità. Ma soprattutto, e qui bisogna anche dire purtroppo, è
l'obiettivo dell'antifascismo che è diventato più difficile da
perseguire; e quasi sempre non per colpa nostra. Il fatto è che mentre
crescono le manifestazioni di neofascismo, neonazismo e odio razziale,
tutte facilmente riconducibili ai fascismi di sempre, aumenta
l'indifferenza e il silenzio delle istituzioni. Questo Stato, che
dovrebbe essere antifascista e democratico, non riesce ad adeguarsi allo
spirito della Costituzione e molti suoi organi restano ancorati
soltanto alla XII disposizione transitoria, che vieta la ricostituzione
del partito fascista. Ciò che non si è capito è che nessuno dirà mai di
voler ricostituire il partito fascista; i più sofisticati parlano di
“fascismo del terzo millennio”; altri, più semplicemente, manifestano le
loro idee col saluto romano, con i simboli fascisti e purtroppo con
quel corredo di razzismo che è stata una delle caratteristiche del
fascismo in camicia nera, di cui non si dovrebbero mai dimenticare le
leggi razziali e le persecuzioni agli ebrei.
Praticare l'antifascismo, in questo contesto, diventa più complicato,
soprattutto per la frequente mancanza di risultati concreti. Quando si
tenta, continuamente e in varie forme, di equiparare i partigiani ai
militi della Repubblica sociale, quando si negano piazze per il 25
aprile (o addirittura si tenta di abolirla come Festa nazionale), quando
si presentano alle elezioni liste apertamente fasciste e talora vengono
ammesse, quando si autorizzano raduni di esponenti della peggior destra
“nera”, italiana ed europea, quando insomma c'è questo insieme di
rigurgiti fascisti e di promesse di ulteriori sviluppi negativi per
l'avvenire, che cosa può fare, in concreto, un'Associazione come la
nostra, antifascista per natura e per destinazione? Le nostre Sezioni, i
nostri Comitati provinciali sono continuamente mobilitati contro le
manifestazioni di cui ho parlato, gli organismi nazionali intervengono
con comunicati, dichiarazioni, richieste al Governo ed alle Istituzioni.
Ma le Istituzioni continuano a restare assenti, nella convinzione di
molti che non ci siano norme che consentano di intervenire, mentre la
stessa Corte di Cassazione afferma che è pienamente applicabile la legge
“Mancino” e mentre dovrebbe essere chiaro a tutti che non è una sola
disposizione della Costituzione a manifestare un indirizzo antifascista,
ma è tutta la Costituzione, che indica princìpi e valori in assoluto
contrasto con tutto ciò che sa di autoritarismo, di populismo, di
razzismo.
È su questo piano, allora, che bisogna ottenere un cambiamento di
rotta e di convinzioni; bisogna che nel Parlamento e nel Governo la
parola “antifascismo” smetta di essere un tabù, di cui non è il caso di
parlare; e che la collettività si convinca, invece, che antifascismo e
democrazia sono assolutamente coincidenti e dunque bisogna impegnarsi
tutti, Stato, Istituzioni, cittadine e cittadini, per impedire ritorni
al passato, per evitare che la storia, magari in forme diverse, si
ripeta. L'impegno dell'ANPI, su questo piano, è pregiudiziale rispetto
ad ogni altro e deve ispirare ogni nostra azione per ottenere una svolta
nella politica, un cambiamento reale. Vogliamo un Paese diverso, più
equo, più libero, più solidale, ma anche più antifascista e dunque più
democratico, perché i pericoli di deviazione populista e autoritaria
sono sempre in agguato, come la storia dimostra.
Questo impegno ce lo impone la nostra storia; e ce lo impone la
nostra funzione di rigorosi custodi dello spirito della Resistenza e
della Costituzione.
Di recente, un Tribunale militare, ammettendo la costituzione
dell'ANPI come parte civile in un processo relativo a stragi compiute in
Italia nel 1944, da parte di militari di tedeschi e fascisti, ha fatto
un'affermazione di grande importanza, prima in un'ordinanza e poi nella
sentenza. Dice il Tribunale militare di Verona che “l'ANPI è
“storicamente l'erede, in forma statutariamente riconosciuta, di tutti
quei gruppi e formazioni che dal 1942 – 1943 in avanti, hanno costituito
centro di riferimento collettivo di grandissima parte della popolazione
italiana che, animata dal medesimo sentimento di restituire al Paese
libertà e democrazia, ha agito nelle più svariate forme, anche non
necessariamente armate”. “Di quei gruppi e formazioni l'Associazione è
erede spirituale, stante l'identità dei fini. Il che costituisce titolo
perché” – dice ancora la sentenza - “l'ANPI possa avanzare pretese
risarcitorie nei confronti di chi ha commesso terribili atti di
barbarie”.
Questo riconoscimento della continuità dell'Associazione con chi ha
combattuto per la libertà, anche per identità di scopi, è di grandissima
importanza e di grandioso significato politico. Ma è anche fonte di una
grande responsabilità, che oggi sentiamo nel profondo ed alla quale non
vogliamo sottrarci. Nel momento in cui l'Associazione compie
settant'anni, il dovere principale che sentiamo è quello di assumerci
quella responsabilità fino in fondo, per portare avanti le finalità, di
indirizzi e gli scopi di quanti hanno combattuto, di quanti si sono
immolati per la nostra libertà. Abbiamo ormai una maturità sufficiente
per assolvere questo compito e per rappresentare le aspirazioni ed i
sogni di chi ha combattuto per la libertà. Sappiamo che essi sognavano
un Paese antifascista e democratico; dobbiamo contribuire a realizzare
quel sogno che la barbarie ha spezzato. Lo facciamo oggi, con le diverse
generazioni presenti nelle nostre file. Lo faremo anche domani, quando
la generazione dei combattenti della libertà sarà scomparsa, ma saranno
rimaste e tramandate, alle nuove generazioni, quelle attese di pace,
libertà, uguaglianza e giustizia che sono e devono essere - con
l'antifascismo - il fondamento della nostra democrazia.
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