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Dante Di Nanni


Dante Di Nanni
Partigiano d’Italia, Medaglia d’Oro al Valor Militare
Torino 27/03/1925 – Torino 18/05/1944
Dal libro di Giovanni Pesce “Senza Tregua – la guerra dei GAP, Edizioni Feltrinelli, riportiamo un brano del racconto drammatico sulla eroica morte di Dante Di Nanni. Si tenga conto che“Ivaldi” è il nome di battaglia di Giovanni Pesce.

"Ora, nella casa di via San Bernardino, Di Nanni è solo.
Ancora disteso sul letto, le braccia piegate, le mani strette sotto il cuscino. Ivaldi è uscito da poco. Hanno continuato a parlare, quando è tornato dalla cucina dove si è medicato.

Sembra di avere una quantità di cose da dire, da spiegare, quando si sa di dover morire. Una guerra come la nostra non lascia molto tempo per le conversazioni. Si prepara l’azione, la si esegue: quando ci si incontra ogni minuto viene impiegato per le questioni pratiche, urgenti. Per la prima volta ci troviamo difronte e possiamo parlare. Di noi, del perché combattiamo, del domani. Forse parlare del futuro cancella l’angoscia della fine vicina. O forse ci sono cose che dovevano essere dette da tempo e che ci diciamo ora. È appena un ragazzo, ma ha già tante cose dentro, tante idee e una certezza così ferma nel nostro futuro. Penso a me stesso, quando sono partito per la Spagna. I giovani di oggi maturano rapidamente. Lo abbraccio piano prima di lasciarlo per andare a sollecitare l’autolettiga.

So cosa fare se vengono”, ha detto Di Nanni e ha voluto accanto al letto i due mitra, lo “sten” e il sacco degli esplosivi con le micce a strappo già pronte e infilate nei detonatori.
Ora giace immobile e aspetta.
Chi giungerà prima: la lettiga o gli altri?
Una serie di colpi violenti scuotono la porta.
Gli altri sono giunti per primi.
Si gira lentamente, s’appoggia con le mani al pavimento e scivola dal letto, battendo le ginocchia sulle piastrelle fredde. Si solleva sul gomito piegando la gamba sinistra sotto il corpo: prende un mitra e innesta un caricatore di quaranta colpi.
Prima di uscire Ivaldi lo ha aiutato a infilarsi i pantaloni perché sia già pronto quando giungerà l’autolettiga; fa scivolare due “sipe” nella tasca destra, un’altra la tiene nella mano sinistra. Trascinandosi avanza verso la porta. Nella destra stringe il mitra.
Vengo” grida.
Aprite! urlano dal pianerottolo.
Di Nanni si schiaccia al muro, lascia il mitra, passa la “sipe” nella mano destra e toglie la coppiglia, tenendo salda la piccola leva piatta. Da fuori cercano ora di abbattere la porta a calci, ma è una porta di buon legno robusto, e resiste bene.
“Apro”grida ancora Di Nanni.
Si appoggia sulla sinistra tenendosi dietro lo stipite; lascia scattare la leva della bomba e conta: al “cinque” preme il pollice facendo scorrere la sbarra della serratura. La porta, spinta dall’esterno si apre di schianto. Di Nanni lascia scivolare sul pianerottolo la bomba e si abbandona sulla schiena, al riparo della parete. Un secondo e all’esplosione nella tromba delle scale rispondono le urla dei colpiti. Un fascista, trascinato dallo slancio, piomba nell’anticamera e Di Nanni, restando sdraiato, ne blocca la corsa con una raffica breve, da tre metri. Il fascista sembra un attimo paralizzato, lascia cadere il mitra e barcollando arriva nella camera, finendo bocconi sul balcone.

Strisciando sui gomiti Di Nanni si spinge sul pianerottolo, ingombro dei corpi di due fascisti. Appoggiando la fronte alla ringhiera, può vederne altri che scendono incespicando sui gradini.
Infila la canna del mitra tra le sbarre e spara: li sente gridare e li vede cadere come dei sacchi vuoti.
Si trascina nuovamente in casa e chiude la porta; questa non sembra danneggiata perché il battente era aperto al momento dell’esplosione.
All’ingresso della stanza, sul pavimento, c’è il mitra del brigatista abbattuto. Di Nanni lo spinge, la canna in avanti, fino accanto al letto. Non cerca il corpo. Si trascina ancora attraverso la camera e, dalla cucina, spinge il tavolo contro la porta d’ingresso: poi sistema una doppia catena di sedie fra il tavolo e la parete; per colmare un ultimo spazio vuoto uno sgabello. Così la porta è completamente bloccata, quanto basta a fermare un po’ gli invasori anche se facessero saltare la serratura.
Più di così non può fare. Strisciando sotto il tavolo, torna in camera e si arrampica sul letto. Si sdraia sul ventre, di traverso ai materassi, in modo da avere il balcone in faccia.
Può vedere un pezzo di inferriata, due finestre della casa di fronte, un poco di tetto.
Il corpo del fascista è dietro la breve parete, sulla sinistra, nel vano della finestra, dove la ringhiera del balcone si aggancia al muro esterno. Lo indovina seduto o semi-sdraiato, con le ginocchia piegate: vede le scarpe uscire dall’angolo del muro.
Nella casa sembra ora essersi fatto un gran silenzio.
Forse non succederà altro, forse Ivaldi tornerà con l’autolettiga e andranno all’ospedale.
Dalla strada non salgono rumori sospetti, niente che faccia temere un nuovo assalto.
Non può accadere dunque nulla in quel silenzio.
Però Ivaldi deve far presto perché non può resistere a lungo.
Tocca le fasciature della schiena e le sente viscide.
Guarda la mano e la vede sporca di sangue.
Deve restare calmo, sopportare il dolore e non perdere altre forze.
Le scarpe, all’angolo del balcone, hanno un sussulto, scivolano in avanti. Di Nanni capisce che il fascista sta morendo.
Gli tornano alla mente racconti dell’altra guerra: italiani e austriaci feriti, isolati nella terra di nessuno, che riuscivano a capirsi a gesti per scambiarsi una sigaretta o un sorso di grappa, per maledire in lingue diverse ma con parole uguali la guerra e chi li aveva mandati a morire senza neppure sapere perché.
Fissa quelle scarpe scivolate in avanti in una chiazza di sangue.
La guerra combattuta da suo padre è stata una guerra diversa. Allora, i soldati si sono trovati una divisa addosso, un fucile in mano e l’ordine di sparare senza altre spiegazioni.
In questa guerra ognuno ha fatto la sua scelta.
Né a lui né all’altro hanno messo in mano un fucile senza spiegare perché.
Ha scelto in piena coscienza la parte dove stare; e così è stato per il fascista sul balcone.
Ognuno paga i debiti che ha contratto.
Dalla strada giunge improvviso il rumore di un motore, poi alcune grida. Di Nanni capisce che è giunto il momento. L’autolettiga non arriverà più e lui non andrà all’ospedale, né da nessun’altra parte.
Il motore si arresta davanti alla casa, proprio sotto il balcone, e tra i passi di molti uomini Di Nanni ode lanciare ordini incomprensibili.
Grida anche una donna, di paura.
Di Nanni la sente correre sull’asfalto invocando aiuto.
Il secondo assalto forse sarà diverso.
Ora la tattica migliore è di aspettare, perché questo li sconcerterà. Si attendono raffiche e bombe e stanno al riparo. Sparare non può servire. Adesso tocca a loro la prima mossa.
Nella strada c’è un lungo silenzio, poi, con un forte accento tedesco, qualcuno grida:“scendere, arrendersi!”.
Passa altro tempo.
Un secondo motore imbocca la via per fermarsi al portone. Una scala d’autopompa si avvicina alla ringhiera del balcone. Oscilla un poco, come in cerca di un punto d’appoggio e si ferma ben salda. Subito dopo riprende ad oscillare: qualcuno sta salendo.
La stessa voce tedesca grida ancora: “prendere, prendere! un pazzo!”. Di Nanni, bocconi sul letto, punta il mitra.
Dal bordo del balcone spunta l’elmetto di un pompiere, poi il viso di un uomo già anziano.
Pare esitare; getta uno sguardo perplesso al corpo del fascista e scruta nella stanza. Non vede Di Nanni e riprende a salire adagio, guardingo. Si china per dire qualcosa a uno che lo segue nella scala e che Di Nanni non vede ancora. Poi scavalca la ringhiera dando un’altra occhiata al fascista senza avvicinarsi e vede il mitra puntato. L’altro che lo segue resta cavalcioni sulla ringhiera.
“Andate via”, dice Di Nanni, a voce bassa, calma, “non sono un pazzo, sono un Partigiano”.
I vigili del fuoco sembrano perplessi; il ragazzo col mitra sdraiato sul letto sa quel che vuole.
Il fascista morto insegna la lezione. Entrare e morire è una cosa sola. Il pazzo è chi rischia.
“Non è matto”, grida alla strada il secondo pompiere, ancora cavalcioni alla ringhiera, “non è matto!”.
Dalla via giungono altre frasi rabbiose, urlate.
“Andate a prenderlo!”.
“Andate via”, ripete Di Nanni, “non ce l’ho con voi”.
Il vigile del fuoco fa due passi indietro ed è di nuovo sul balcone.
“E' questo?”, chiede indicando il morto.
“Quello portatelo via”, risponde Di Nanni.
Se lo passano sopra la ringhiera. L’anziano fa ancora un cenno a Di Nanni – come per dire qualcosa – mentre scende.

Ora tocca a lui muoversi: si cala dal letto e striscia fino al balcone; così appiattito a terra non possono vederlo dal basso. Ancora non hanno pensato a mandare qualcuno sul tetto della casa di fronte e sul campanile vicino. Di Nanni guarda sulla destra e vede la stretta via bloccata; un gruppo di tedeschi sbarra l’accesso a una piccola folla.
A sinistra, la via è bloccata da fascisti. Anche là c’è gente, donne per lo più. Sotto, dove Di Nanni non può vedere, ci sono mescolati militari tedeschi e fascisti.
Osserva attentamente finestre e facciate del convento dirimpetto. Tutto chiuso, sbarrato.
Toglie la sicura a una “sipe” appoggiandola a terra. Poi toglie la sicura a una seconda bomba. Le spinge una dopo l’altra fra le sbarre della ringhiera. Ode le esplosioni e le urla. Guarda a sinistra. Le donne fuggono lasciando i solati i fascisti addosso al muro.
Spara una raffica breve e una lunga.
Tre fascisti cadono.
Spara ancora contro gli altri che si sbandano in cerca di riparo e ne abbatte uno proprio all’angolo della via.
Poi rincula strisciando e rimane sdraiato sulla soglia della porta-finestra. Da là può sorvegliare il tetto di fronte e il campanile. Passano pochi minuti, e lentamente, un elmetto spunta sopra l’angolo del tetto, poi appare il viso del tedesco. Mentre leva adagio il mitra vede un altro tedesco apparire nel vano della loggia campanaria. Cerca di inquadrare il nemico sul tetto, ma il mitra, contro la spalla sinistra, non sta fermo; appoggia allora il gomito destro al muro e mira di nuovo.
Spara pochi colpi.
Il viso del tedesco sparisce, scomposto.
Di Nanni punta subito al campanile.
Il secondo tedesco si mostra per una frazione di secondo, poi si abbassa, torna a mostrarsi e si abbassa di nuovo. Sembra un giocattolo meccanico. Di Nanni lo vede abbassarsi, attende pochi istanti e spara dentro l’apertura vuota: in quel momento il tedesco si alza e ricade urlando, mentre le campane colpite dalla raffica sembrano suonare a festa. Si trascina lontano dal muro. Ora tocca nuovamente a loro. E deve lasciarli fare, affinché credano di averlo in mano e tornino a mostrarsi.
Si cala dietro l’angolo di sinistra della finestra e aspetta. Prima vengono dei colpi isolati: poi le raffiche di mitra. Sparano a lungo. Le schegge della finestra si staccano con un rumore secco. I colpi sparati dal basso, forse dai portoni di fronte, finiscono nel soffitto, staccando l’intonaco.
Poi gli spari si diradano; le raffiche si fanno brevi e si spengono.
Di Nanni attende ancora fino a che ode i primi colpi rintronare alla porta; allora si trascina attraverso la stanza. Dall’altra parte continuano a tempestare l’uscio barricato col tavolo e le sedie. Tiene schiacciato il grilletto, mentre ruota l’arma da destra a sinistra, lentamente, poi ancora a destra. Si sentono urla e gemiti. Punta ancora, a livello del pavimento questa volta, e spara due ultime raffiche.
Torna alla stanza e si mette in ascolto. Devono essere in molti attorno alla casa.Gridano ordini in tedesco e in italiano; ma le voci si sono allontanate oltre il fondo della via. Sono diventati prudenti e si tengono al coperto. Sparano di nuovo: colpi isolati e violente raffiche. Forse pensano di bloccare i suoi movimenti o forse sperano di colpirlo con un proiettile fortunato.

Certo non può continuare a lungo in quel modo. Devono fare qualcosa di decisivo: tutto il quartiere è in allarme e la voce che trecento tedeschi e fascisti sono impegnati da due ore con forti perdite contro un solo Partigiano si va diffondendo.
Devono fare qualcosa di nuovo e presto. Si ode il ringhiare di un grosso motore. Di Nanni striscia sul balcone, mentre anche dai tetti lontani si comincia a sparare, spia tra le sbarre sulla sinistra: un’autoblinda avanza lentamente, al centro della via stretta; la seguono curvi dieci o dodici tedeschi e fascisti. All’improvviso la canna della mitragliatrice che spunta dalla torretta comincia a sussultare. Di Nanni si rovescia lesto sul fianco e rotola nella stanza mentre i colpi schiantano gli spigoli del balcone e rimbalzano sulla ringhiera di ferro.
Allora Di Nanni toglie cinque pezzi dal pacco di tritolo e li lega assieme con una striscia di tela; nel mezzo infila un detonatore con una miccia corta ad accensione a strappo e torna al balcone. La mitragliatrice tace; il ritmo del motore in folle indica che l’autoblinda è ferma sotto il balcone. Di Nanni svita il cappuccio dell’accensione e tira la cordicella, sente come il fruscìo di un fiammifero sfregato contro un mattone, conta cinque secondi; butta il tritolo appena sopra la ringhiera. L’esplosione viene immediata, tremenda; la casa trema tutta.
Il motore dell’autoblinda si è arrestato. Qualcuno, rimasto dentro, cerca di rimetterlo in moto.
Di Nanni torna ai piedi del letto, prepara altri due fasci di tritolo e, dal balcone, li lascia cadere senza contare perché sotto non c’è più nessuno che possa spegnere le micce.
Dopo le esplosioni, non si odono più né rumori né grida; tedeschi e fascisti devono essere disorientati. Stanno osservando, al riparo, l’autoblinda immobilizzata e i morti attorno; forse cominciano a dubitare di trovarsi di fronte a un solo Partigiano.

Di Nanni torna ancora verso il letto e con tutto l’esplosivo rimasto prepara altri pacchi, mette i detonatori e si sdraia supino.
Dalla strada giunge una voce ingrandita e distorta dall’altoparlante: “Arrendetevi. Vi garantiamo salva la vita. Arrendetevi e sarete salvi”.
Poi qualcos’altro di incomprensibile.
Il rotolare ferroso di cingoli sull’acciottolato annuncia l’arrivo di un carro armato.
Avanza lentamente, ruotando la torretta del cannoncino, gli sportelli delle mitragliatrici aperti.
Di Nanni attende che vengano sotto, affinché gli uomini nel carro non possano vedere il balcone dalle strette fessure della torretta. Allora accende le micce. Afferra con la destra i legacci e alzando il primo pacco d’esplosivo sopra la sua testa lo scaglia oltre la ringhiera, nella strada, davanti al carro armato. Poi lancia il secondo e il terzo.
Chi guida vede certamente cadere i pacchi ma quando tenta di frenare è tardi; uno di essi esplode a un palmo dal cingolo destro che si spezza di schianto. Le altre due esplosioni completano il lavoro. Il carro comincia a girare su se stesso spinto dal cingolo intatto e finisce contro il muro della casa difronte.
Il motore si arresta e gli uomini escono cauti dallo sportello e si allontanano.
Di Nanni non può vederli.

Adesso ogni rumore è cessato.
Un attimo di tregua, di pace prima della fine ormai vicina.
L’esplosivo è terminato assieme alle “sipe”. Nel caricatore del mitra restano si e no venti colpi.
Di Nanni toglie un proiettile e se lo mette in tasca, poi striscia di nuovo al balcone, pone il dito sul secondo grilletto del mitra, quello del colpo singolo e spia la strada. Da sinistra camminando curvi, rasenti il muro, avanzano tre tedeschi. Non portano fucili ma stringono in mano grappoli di bombe. Intendono usare la sua tattica: lanciare le bombe dal basso, dietro la porta-finestra del balcone.
Prende la mira tra le sbarre e spara sul primo nazista che cade in avanti; il secondo colpo manca quello che lo segue, ma il terzo lo raggiunge subito dopo. Spara tre colpi all’ultimo che fugge.
Il nazista cade, si rialza e riprende a correre zoppicando. Si salva buttandosi dietro l’angolo della via. In quel momento, dal tetto di fronte, parte una raffica rapida e violenta. Un tedesco spara con ginocchio sinistro appoggiato alle tegole della sommità del tetto; non si nasconde. La sua raffica dovrebbe essere decisiva, ma passa alta sulla testa di Di Nanni che lo abbatte sparando a raffica i suoi ultimi colpi.

Ora tirano dalla strada, dal campanile e dalle case più lontane.
Gli sono addosso, non gli lasciano scampo.
Di Nanni toglie di tasca l’ultima cartuccia, la innesta nel caricatore e arma il carrello. Il modo migliore di finirla sarebbe di appoggiare la canna del mitra sotto il mento, tirando il grilletto poi con il pollice. Forse a Di Nanni sembra una cosa ridicola; da ufficiale di carriera. E mentre attorno continuano a sparare, si rovescia di nuovo sul ventre, punta il mitra al campanile e attende, al riparo dei colpi. Quando viene il momento mira con cura, come fosse a una gara di tiro.
L’ultimo fascista cade fulminato sul colpo.
Adesso non c’è più niente da fare: allora Di Nanni afferra le sbarre della ringhiera e con uno sforzo disperato si leva in piedi aspettando la raffica.
Gli spari invece cessano sul tetto, nella strada, dalle finestre delle case, si vedono apparire uno alla volta, fascisti e tedeschi. Guardano il gappista che li aveva decimati e messi in fuga. Incerti e soddisfatti, guardano il ragazzo coperto di sangue che li ha battuti.
E non sparano.
È in quell’attimo che Di Nanni si appoggia in avanti, premendo il ventre alla ringhiera e saluta col pugno alzato.
Poi si getta di schianto con le braccia aperte, nella strada stretta, piena di silenzio."

Commenti

  1. Quest'anno commemoriamo il partigiano Dante Di Nanni nella iniziativa che si svolge il 1 maggio 2021 nell'ambito di Resistere, pedalare resistere nata in collaborazione tra FIAB (Federazione Italiana Ambiente Bicicletta ) e ANPI nel 2010 per la quale abbiamo sempre avuto il loro patrocinio. Info su: Biciedintorni.it

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