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Bruno Segre, il Giorno della memoria e L’Incontro: vivere per la libertà e la democrazia

Il giornale, oggi in difficoltà, è dal 1949 una voce torinese di tolleranza e dialogo

Bruno Segre è l'uomo cui tocca il compito di ricordare con una lectio magistralis in Municipio, nella
mattinata del 27 gennaio, la Shoah, nel Giorno della memoria. Nonostante l'età avanzata Segre è ancora attivissimo sia come redattore dello storico mensile L'incontro, sia come membro del comitato scientifico del Museo della Resistenza. La redazione del giornale ha sede in via della Consolata numero 11 ed è qui che incontriamo l’avvocato Bruno Segre, classe 1918, direttore del giornale che cura personalmente dall’uscita del primo numero, nel lontano 1949. Entrando nella redazione, colma di libri, riviste, numeri del giornale la prima sensazione è quella di varcare le porte di un luogo di culto, o meglio, di profonda cultura. Bruno Segre è come un libro di storia che, con lucida calma, offre a chi le voglia sfogliare le pagine dei suoi ricordi, memoria storica e patrimonio dell’intera nazione. Segre è un personaggio storico la cui vita è intrecciata con quella di altri importanti personaggi del mondo della cultura e della politica: Alcide De Gasperi, Ferruccio Parri, Gaetano Salvemini, Piero Calamandrei, per citarne alcuni.

Bruno Segre nasce a Torino il 4 settembre 1918 dove si laurea in legge nel 1940. Ultimo allievo di Luigi Einaudi – di cui il padre era stato il primo nel 1901 – negli anni delle leggi razziali fasciste non gli viene permesso di esercitare la professione di avvocato in quanto figlio di genitore ebreo.            
A Torino, nel settembre 1944, durante una sparatoria,tentando di sfuggire all’arresto da parte della Guardia Nazionale Repubblicana, riesce a salvarsi  grazie al portasigarette di metallo che portava nella giacca e che ferma il proiettile. Viene comunque catturato e rinchiuso nella caserma di via Asti poi trasferito per alcuni giorni nelle carceri giudiziarie "Le Nuove".   L’esperienza vissuta durante la prigionia nella caserma di via Asti viene rievocata da Segre attraverso il memoriale scritto nel 1946, “Quelli di via Asti”, uno scritto che rimane per più di sessant’anni nel cassetto: solo nel 2013 decide di pubblicarlo, stampato in mille copie e con la prefazione di Diego Novelli.  “La caserma di via Asti rappresenta un fenomeno curioso”, ricorda Segre, “al suo interno vi erano partigiani, fascisti, persone rastrellate. Si giocava a carte tutti insieme, non era come essere rinchiusi in un carcere". Poi Segre entra nella resistenza armata arruolandosi nella prima Divisione Alpina Giustizia e Libertà a Pradleves, con cui prende parte alla liberazione di Caraglio.    
Dopo la Liberazione inizia la carriera giornalistica come cronista nel quotidiano liberale L'Opinione, che aveva sostituito, al tempo, La Stampa,  ed era diretto da Franco Antonicelli e Giulio De Benedetti. Ma al tempo del referendum “L’Opinione” era profondamente diviso tra monarchici e liberali. Segre interrompe presto la pubblicazione e  si ritrova disoccupato.
Nel 1949 esce il primo numero de L’Incontro, giornale dedicato a combattere l’intolleranza religiosa e il razzismo, che ancora oggi continua a dirigere con grande passione.                                                  
Nel 1975 Segre viene eletto capogruppo del Partito Socialista Italiano (PSI) nel Consiglio Comunale di Torino.                                                      
L'avvocato Segre conduce numerose battaglie durante l’esercizio della sua professione, fino alla sua conclusione nel 2002, dopo più di cinquant’anni di toga, quando decide di dedicarsi interamente al giornale.
- Avvocato Segre,  nel corso della sua carriera ha condotto innumerevoli battaglie sia nelle aule di tribunale, sia attraverso le pagine del Suo giornale. Tra queste ricordiamo il primo caso in Italia di un processo per obiezione di coscienza e il suo appoggio al movimento pacifista non violento…
"Nel mese di agosto del 1949 balzai alla cronaca nelle pagine della stampa italiana ed internazionale perché difesi per la prima volta in Italia il caso di un obiettore di coscienza, Pietro Pinna.
Allora ci fu una vera e propria mobilitazione dell’opinione pubblica, in gran parte contraria…i cattolici erano contrari, ritenendolo per lo più un cavallo di Troia dei comunisti.  Fu un caso che fece molto scalpore… Si trattava del primo processo in Italia ad un obiettore. Gli obiettori erano considerati dei disfattisti, creavano discredito nei confronti dell’esercito".
- Molti obiettori di coscienza erano testimoni di Geova…
"Circa il 90% degli obiettori di coscienza era testimone di Geova… di costoro non condividevo le opinioni religiose, ma ammiravo l’onestà culturale: hanno pagato con la deportazione la loro fede…"
- Chi era Pietro Pinna?
"Pietro Pinna era un giovane ragioniere impiegato in una banca di Ferrara. Quando, dopo la fine della guerra, ascoltò in una piazza un discorso sulla non violenza tenuto dal filosofo antifascista e pacifista Capitini ne rimase talmente colpito da decidere di rifiutarsi di partecipare agli addestramenti militari. Chiese al Ministero della Difesa l’esonero dal servizio militare; in cambio si dichiarava disposto a prestare un servizio alternativo, come il rastrellamento dei terreni minati.
Durante il processo argomentai a lungo, insistendo sull’esistenza di una legge superiore a quella dello Stato, che è quella della propria coscienza e chiesi per l’imputato l’assoluzione con formula piena".
-Quale fu la sentenza?
" La sentenza del Tribunale Militare di Torino fu di condanna a dieci mesi di reclusione. Nel frattempo Umberto Calosso, deputato socialista, aveva presentato in Parlamento, insieme al democristiano Igino Giordani, la prima proposta di legge dell’Italia repubblicana per il riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza al servizio militare".
 - Il progetto di legge per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza avviò un dibattito che durò in Italia diversi anni…
"Dopo anni di battaglie ottenni finalmente che venisse riconosciuto il valore morale dell’obiezione di coscienza, ma non quello sociale, per la concessione dell’attenuante che riduceva di un terzo la pena. Nel 1972 fu approvata la legge che portava la firma del ministro democristiano Marcora. Questa legge, pur con le successive modifiche, è rimasta in vigore fino a quando il servizio militare obbligatorio è stato abolito, nel 2005".
- Una seconda importantissima battaglia politico-legale che la vide protagonista fu quella a favore del divorzio…
"Fu un’importante battaglia condotta insieme all’onorevole Loris Fortuna.
Per i matrimoni celebrati in Municipio il codice civile prevedeva alcuni casi di annullamento. Il codice ecclesiastico prevedeva per i matrimoni religiosi l’annullamento dinnanzi al Tribunale ecclesiastico e poi davanti al Tribunale della Sacra Rota. Ma tra annullamento e divorzio c’è una grande differenza:  il divorzio riconosce la validità del matrimonio e ne sancisce la fine, mentre l’annullamento considera il matrimonio come mai avvenuto.
La parola divorzio non compariva mai, non fu mai scritta: fu sostituita dalla locuzione cessazione degli effetti civili derivanti dalla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso, oppure scioglimento del matrimonio celebrato con rito civile.
Durante quella battaglia i Comunisti furono molto “tiepidi”… si parlava, solo in alcuni casi, di piccolo divorzio. Alla fine noi socialisti trionfammo…dedicai a questa vittoria una pagina intera de L’Incontro".

- Non venne approvata però la vostra richiesta di ridurre i tempi necessari  dalla separazione…
"Inizialmente il termine che doveva trascorrere dalla separazione legale al momento del ricorso in Tribunale per il divorzio era di cinque anni. Successivamente venne ridotta a tre anni. Non passò mai il nostro progetto di ridurre i tempi ad un anno solo".
- Torniamo indietro negli anni, alla sua carriera nel mondo del giornalismo…come nacque L’Incontro?
"Dopo la liberazione, nel giugno del 1947, nacque a Torino un’Associazione che si chiamava  Unione contro l’intolleranza religiosa e il razzismo. Si ispirava all’amicizia tra ebrei e cristiani.
Alla fine dello stesso anno fondai il bollettino mensile Fraternità, organo dell’Unione, ma durò poco. All’interno dell’associazione vi erano troppi contrasti, persone intolleranti che creavano molte polemiche. Così nel 1949 fondai L’Incontro, giornale no profit con testata in rosso nel formato dei quotidiani di allora".
- Un formato che è rimasto invariato negli anni...
"Sono affezionato a quel formato: mi consente di avere uno spazio".
- Con quale periodicità usciva il giornale?
"L’Incontro usciva dieci, undici volte nel corso dell’anno…una volta al mese, tranne nel mese di luglio e di agosto. Ancora oggi è un mensile che pubblichiamo in migliaia di copie e spediamo agli abbonati non solo in territorio nazionale, ma anche all’estero…ma i prezzi degli abbonamenti non bastano a coprire interamente i costi di stampa e di spedizione postale".
- Quale significato ha voluto dare la scelta del nome del giornale?
"Il giornale ha portato avanti le battaglie antifasciste, le battaglie sociali. L’Incontro si pone come luogo di incontro, quindi di confronto delle opinioni, di libera circolazione delle idee. Per favorire la convivenza sociale nel terreno del dibattito civile, in modo tale da svolgere la vera funzione democratica".
- All’interno del giornale trovano quindi spazio opinioni e idee differenti…
"Sì, e questo può essere considerato quasi sovversivo. Nel corso degli anni ho ricevuto spesso minacce da fascisti".
- Lei è stato testimone del processo di trasformazione sociale e culturale dell’Italia del dopoguerra. Dal 1949, l’anno del primo numero de L’Incontro, sono cambiate molte cose nel mondo del giornalismo. Quali sono state le trasformazioni principali?
"Innanzitutto l’uso dei neologismi, quasi una forma di cacofonia…poi la quasi scomparsa del dialetto delle città…anche il dialetto ha subito l’italianizzazione…
La rivoluzione culturale avvenuta attraverso la televisione, oggi l’analfabetismo è quasi del tutto scomparso in Italia. Un altro aspetto da tener presente è la tutela della minoranza albanese, croata, tedesca, slovena e francese…
Oggi il giornalismo deve anche fare i conti con la riduzione dei tempi a disposizione e la conseguente mancanza di tempo per la riflessione…la notizia ha una vita relativamente breve, il lettore in poco tempo viene colpito da una miriade di informazioni, spesso provenienti da fonti non verificate o confrontate dai giornalisti.
E L’Incontro vuole proprio ritrovare il tempo della riflessione, dell’approfondimento dell’attualità e dell’analisi della storia, lasciando al suo interno circolare liberamente le idee, per realizzare quel democratico scambio di opinioni in modo da arricchire l’individuo e con esso la società in cui vive…una funzione di spazio pubblico che ci auguriamo possa conservare ancora molto a lungo nel corso dei prossimi anni".

Fonte: Articolo di Michela Vindrola del 27 gennaio 20014 pubblicato su Torinonline (http://www.torinonline.eu/)

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