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Romualdo Siccardi, Testimonianza

Quel giorno che mio padre pianse
"Davanti al Maramotti per ascoltare la dichiarazione di guerra"
Romualdo Siccardi
La prima volta che mi accorsi di essere sotto il fascismo fu nel 1938 quando la mia, che era una famiglia di socialisti, fu costretta a spostarsi da Rivoli a Torino.
Arrivammo in borgo San Paolo e ci stabilimmo in via Issiglio, proprio di fronte allo stabilimento della Lancia.
Ogni mattina, per raggiungere la scuola, passavo davanti alla fabbrica e i primi contatti con la classe operaia lì ebbi in quelle occasioni.
Per noi ragazzini il fascismo significava anzitutto l'inquadramento al quale eravamo sottoposti che, a rivedere ora, aveva il valore di un vero e proprio lavaggio del cervello.
C'erano i Figli della Lupa, i Balilla e gli Avanguardisti, mentre le ragazze erano irreggimentate come Piccole e Giovani Italiane.
Inoltre i libri di scuola, attraverso i quali, si riempiva la testa delle persone con tanti falsi miti.
Di tutto questo, però, noi ragazzini non ci rendevamo conto, anche perchè gli adulti usavano spesso la prudenza di parlare di politica lontano dai più piccoli.
La svolta avvenne nel 1940 con la dichiarazione di guerra.
Ero studente all'Istituto Plana e ricordo che quel giorno non facemmo lezione. 
I nostri professori ci dissero di andare al circolo fascista "Maramotti" di corso Peschiera, dove oggi si trova la scuola Santorre di Santarosa.
C'era una gran folla e siccome la struttura non poteva contenere tutte le persone che erano accorse, i militanti del fascio avevano sistemato degli altoparlanti rivolti verso il corso.
Altri attivisti in camicia nera fermavano le persone e le costringevano ad ascoltare le parole che arrivavano da piazza Venezia.
Avevo quattordici anni e sul momento non compresi la gravità dell'annuncio anche se, le facce delle persone che mi stavano vicine, non lasciavano supporre nulla di buono.
A farmi capire che quella notizia era l'inizio di una tragedia, ci pensò mio padre quando quella sera feci ritorno a casa. 
Lo trovai con la testa tra le mani e chino sul piatto dove mia madre aveva servito la cena: non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo verso di me, anche per nascondere le lacrime che gli segnavano il viso.
Si limitò a dirmi in dialetto piemontese: " Ci siamo di nuovo".
Lui, che aveva vissuto la catastrofe della guerra '15-'18, temeva il ripetersi di quegli orrori.
Purtroppo, ci vollero pochi giorni per trovare conferma alle sue parole con i primi bombardamenti che colpirono Torino.
Le bombe aanglo-americane caddero proprio su borgo San Paolo e anche questo doveva essere stato previsto da mio padre, perchè questa era la zona industriale di Torino.
Ricordo lo stupore per le prime bombe, poi i morti e i feriti estratti dalle macerie.
Con il tempo ci abituammo anche al rito di correre nelle cantine e nei rifugi quando suonava la sirena antiaerei, per poi fare la conta delle bombe cadute e delle case distrutte o sinistrate, nel momento in cui cessava l'allarme.
Alla guerra, però, non si fa mai l'abitudine e quelle immagini di morte e di fame nei mesi delle tessere (annonarie) e della borsa nera, contribuirono più di ogni altra cosa a far crescere l'opposizione al fascismo.
Nei libri di scuola una dittatura può scrivere ciò che vuole, ma se la pancia delle persone è vuota e ogni giorno si rischia la pelle, si comprende meglio il valore della libertà.

Romualdo "Dino" Siccardi

Testimonianza tratta da Ricordi quelle sere...in Piazza Sabotino. 1938-1945 San Paolo in guerra. 1949-1960 tra ricostruzione e immigrazione, Il Filo Sorie di Borgo San Paolo, Lupieri, Torino,2004, pp. 13-14.

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